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FORMA QUINARIA: IL COMUNISMO . CAP. 6 .1 |
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Transizione economica alla società comunista
- "Le nostre concezioni sulle differenze tra la futura società non capitalista e la società odierna sono deduzioni esatte basate sui fatti storici e sui processi di sviluppo. Se non sono presentate in stretto legame con questi fatti e questo divenire, esse non hanno alcun valore teorico e pratico". (F. Engels a E.R. Pease, 27.1.1886).
"Il proletariato si servirà del suo potere politico per strappare via via alla borghesia tutto il capitale, per centralizzare nelle mani dello Stato, ossia dal proletariato stesso organizzato come classe dominante, tutti gli strumenti di produzione, e per aumentare con la massima rapidità possibile la massa delle fonti produttive.
"Naturalmente sulle prime tutto ciò non può farsi se non per via di interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, ossia per mezzo di misure che appaiono economicamente insufficienti e insostenibili, ma che nel corso del movimento sorpasseranno se stesse rendendo necessari, per la dinamica loro propria, nuovi attacchi contro il vecchio sistema sociale: sono essenzialmente dei mezzi per rendere inevitabile il rivoluzionamento dell'intero modo di produzione. Codeste misure saranno, s'intende, da paese a paese diverse" (Marx-Engels, Il Manifesto del partito comunista, II, Proletari e comunisti).
Società comunista e misure di transizione
Se la società comunista, come si è sottolineato nella Prefazione costituisce la sintesi di tutto il portato – tecnico, giusta Marx – delle precedenti formazioni sociali e produttive, è anche, ad un tempo, la rottura violenta con esse, in quanto riprende i rapporti comunisti che già esistevano nelle prime società all'interno di ciascuna tribù o comunità (peraltro in urto), ma questa volta sulla base e come prodotto della grande industria stessa. Dati queste condizioni assolutamente materiali, è dunque possibile stabilirne le linee dorsali o condizioni – ed è quanto faremo in quest'ultima parte.
Avremmo potuto descrivere i rapporti del comunismo superiore a partire dai dati oggettivi esistenti, ma ciò avrebbe lasciato da canto un fattore importante, da taluni detto soggettivo, che è fattore di coscienza e di volontà ed è parte integrante della società nuova, in cui l'umanità, lungi dall'essere mossa ciecamente dalle forze economiche, al contrario organizzerà questi ultime comunitariamente secondo i propri bisogni e ragioni – lo sviluppo onnilaterale dell'uomo. Vi includiamo quindi le misure di transizione della dittatura del proletariato, perché esse attestano già tale volontà e coscienza che il Partito sintetizza. Questo modo di procedere sottolinea inoltre il fatto che la rivoluzione proletaria è la condizione primaria sine qua non, non solo della rottura col capitalismo, ma dello sviluppo dell'umanità verso la superiore forma di società e di produzione.
Le misure di transizione costituiscono, giusta Engels, "il problema più arduo", in quanto si tratta di innestare su una realtà economica di una società di sfruttamento una dinamica rivoluzionaria a sua volta ancora contraddittoria, in cui le stesse limitate misure si negano nel corso dello sviluppo e ne rendono inevitabili altre più avanzate [1].
Non sono quindi – per nessuna rivoluzione – programmabili in anticipo, poiché dipendono esattamente dai bisogni al livello raggiunto nel momento in cui si tratta di applicarle. Nel 1891, ad esempio, "ogni creazione di un nuovo trust le cambia, e i punti di innesto devono essere completamente spostati di decennio in decennio" [2].
Come l'insurrezione è l'arte di applicare i principi politici in un determinato rapporto di forza militare per la conquista del potere, così le misure di transizione sono l'arte di applicare le leggi della dinamica economica tendente al comunismo (eventualmente anche dai più bassi livelli capitalistici) a rapporti di produzione in crisi acuta.
È manifestamente dalla dialettica dell'autoabolizione del capitale – quale si esprime, ad esempio, nella dinamica delle società per azioni, del credito e delle cooperative operaie di produzione –, ossia dall'esperienza economica della realtà della società moderna, che Marx ha dedotto la nozione di misura di transizione al socialismo. Sono quegli interventi dispotici coscienti del proletariato che, sotto la sua dittatura politica, faranno evolverere l'attuale economia verso il comunismo. Per esempio, "le società per azioni costituiscono una abolizione del modo di produzione capitalistico nell'ambito dello stesso modo di produzione, quindi è una contraddizione che si nega da sé, rappresentando manifestamente un semplice punto di transizione verso una nuova forma di produzione". Le fabbriche cooperative "sono, entro la vecchia forma, la prima rottura della vecchia forma" [3].
Marx definisce due livelli fondamentali di transizione, entrambi implicanti il partito proletario al potere, ma il primo, il più basso, può essere realizzato anche dalla borghesia. A queste due transizioni economiche corrispondono degli insiemi specifici di misure di transizione. Confondere i fini e le misure di ciascuno di questi insiemi, o addirittura gli insiemi stessi, significherebbe ingarbugliare tutto e far passare per progressivo ciò che è sorpassato, spacciando, ad esempio, per comunista una semplice riforma borghese.
Per maggior chiarezza, raggrupperemo questi insiemi secondo un ordine logico, che è anche cronologico e segue la maturazione delle forze produttive e sociali, prescindendo dall'alternanza di avanzate e di rinculi nella lotta con la controrivoluzione.
1. Preparazione della base economica (paesi attardati)
Nei paesi precapitalistici o agli albori del capitalismo, dopo la conquista del potere si devono ancora allestire le basi economiche del futuro passaggio alla società comunista. La tattica è qui indiretta – e non frontale come nei paesi sviluppati dove la borghesia è al potere e l'economia pronta per la transizione al socialismo. Anche se fosse soltanto per mantenere il potere politico nelle mani delle masse lavoratrici, come avanguardia estrema della rivoluzione mondiale, è necessario sviluppare a un ritmo accelerato un capitalismo di Stato – secondo l'espressione di Lenin nell'"Imposta in natura". Nei paesi sviluppati invece è l'economia matura che serve da leva per prendere misure politiche accelerate di transizione al socialismo: tutto vi è relativamente più semplice.
Nei paesi attardati o agli albori del capitalismo (per esempio all'epoca della guerra dei Contadini, dei Livellatori o degli Arrabbiati o altri babuvisti), gli interventi dispotici rappresentavano soltanto un passo verso l'assai lontano socialismo attraverso lo sviluppo dell'economia mercantile e monetaria (capitalista). Qui, come nella Russia attardata del 1917, Lenin avverte che sarebbe troppo vago e generale, e addirittura "un difetto e anzi un errore parlare di transizione al socialismo", perché a questo stadio iniziale, si possono fare solo piccoli passi in direzione del socialismo, passando per la grande industria e le riforme a contenuto borghese sotto il controllo dello Stato operaio [4].
Le misure di transizione preconizzate dal Partito comunista del 1848 per la Germania [5], costituiscono grosso modo il blocco organico di interventi dispotici a questo primo livello economico. Le misure del Manifesto, già un po' più avanzate, soprattutto per alcune audaci puntate, formano il passo seguente che porta al secondo livello.
Un esempio per distinguere questo primo stadio dal secondo: la statizzazione industriale, benché effettuata sotto la dittatura del proletariato, sul piano economico non è ancora socialismo, nemmeno nel senso della fase inferiore del comunismo, perché come magistralmente spiega Lenin nell'Imposta in Natura, "il socialismo non è nient'altro che la tappa immediatamente successiva al capitalismo monopolistico di Stato".
I paesi attardati raggiungono per questa via il grado di sviluppo dei paesi capitalistici avanzati: quello del capitalismo di Stato. Di ciò hanno approfittato gli opportunisti per negare la necessità della presa del potere in un paese arretrato. Questo significa eludere la centrale questione del potere. Infatti è un vantaggio enorme per quel paese di poter disporre di uno Stato operaio col quale può far leva sulle forze materiali della grande industria, il che è essenzialissimo nel processo della rivoluzione internazionale, perché il proletariato è al potere non per "portare la pace ma la guerra" alla borghesia mondiale, se pure abbia temporaneamente trionfato solo nell'anello più debole. Abbandonare per principio il potere al nemico di classe sarebbe volgere le terga al marxismo rivoluzionario.
Rigettare questo necessario presupposto del capitalismo di Stato è dunque un atto contro il socialismo, mentre è atto a favore il sostenerlo, in quanto tale sostegno è una lotta che il proletariato conduce suo malgrado, sapendo che deve amministrare il potere in forma democratica – la famosa "conquista della democrazia" del Manifesto – su di una economia per la stragrande maggioranza ancora mercantile e monetaria, dunque "borghese", anche se i proprietari fondiari e i capitalisti sono spariti come persone fisiche. Il borghese scambio tra equivalenti non solo continua a sussistere, ma è sviluppato [6].
Se le misure di transizione esposte nel Manifesto del 1848 corrispondono a un livello economico ancora basso del capitalismo, le condizioni economiche alle quali si riferisce il Programma di Gotha (1875) – stabilito per una situazione sociale non sconvolta da guerre o devastazioni in corso, in cui si tratta di fare notevoli passi in avanti verso il socialismo in economia – sono invece già più mature: Marx affronta la transizione dal capitalismo sviluppato allo stadio inferiore e poi pieno del comunismo. Dallo stadio inferiore della rivoluzione permanente, lo scambio tra equivalenti sopravvive unicamente nel rapporto (sempre a contenuto borghese) tra la forza lavoro fornita dal lavoratore e quanto egli riceve per il proprio consumo, essendo il mercantilismo abolito nella restante produzione e distribuzione. Le ultime vestigia dello scambio tra equivalenti toccano il lavoro, in quanto il proletariato si estingue da ultimo – contemporaneamente allo Stato – al momento del passaggio allo stadio superiore. Ma a questo proposito la spiegazione pienamente marxista di Lenin sbalordirà 999 marxisti su 1000: siccome il diritto borghese sopravvive ancora "in quest'ultimo equivalente col lavoro", lo Stato amministrato dal proletariato resta ancora in parte borghese [7].
Egli scrive completamente giusto, poiché finché vi è Stato, vi sono sopravvivenze di classe, e dunque sovrastrutture politiche di costrizione: il freddo mostro va a sicura morte, ma per il momento è solo agonizzante. Ciò può sembrare un paradosso o un gioco del pensiero, dice Lenin; in realtà, è rigorosamente scientifico, perché "la vita ci mostra ad ogni passo, nella natura e nella società, che vestigia del passato sopravvivono nel presente. Marx non ha introdotto arbitrariamente nel comunismo una particella del "diritto borghese": egli ha soltanto constatato ciò che, economicamente E politicamente, è inevitabile in una società uscita dal seno del capitalismo " (ibid).
2. Nei paesi sviluppati: distruzione del capitalismo
Le misure da adottare nei paesi capitalistici pienamente sviluppati mirano essenzialmente a distruggere i borghesi rapporti di produzione e di distribuzione. Come dire che bisognerà operare tagli netti in interi rami dell'attività sociale. Per definizione sparirà senz'altro il settore mercantile del commercio all'ingrosso e al dettaglio, delle banche e della finanza, ecc. Sarà quindi la volta delle branche di industria e di tutte le attività che sono al servizio del lusso sterile delle classi fondiarie, borghesi e sotto-borghesi, perché servono non allo sviluppo dell'uomo, ma a realizzare le eccedenti prodotte nelle società di classe imponendo alle masse sopralavoro insieme alla miseria. Similmente verranno soppresse le industrie di morte e interi settori dell'industria pesante, le cui tecniche degenerate vengono applicate persino alla mercantile e monetaria agricoltura; si elimineranno, in una parola, tutte le branche distruttive, nocive e antisociali. Contemporaneamente si metterà fine, con lo Stato a buon mercato della dittatura, a tutte le attività e alle enormi spese legate alle impalcature politiche, amministrative, giuridiche e ideologiche della società di classe, e alla più gravosa e parassitaria di esse: la borghesia nell'epoca della sua decadenza.
Alcuni esempi serviranno ad illustrare il senso di queste misure. Quante alle risorse naturali, come ad es. il ferro, il comunismo sviluppato non avrà ovviamente bisogno delle attuali 700 milioni di tonnellate prodotte ogni anno nel mondo. Per fissare le idee, diciamo che una volta soddisfatti i bisogni basterà da un anno all'altro, il ferro per il valore di un pennino a testa. Si potranno dunque chiudere le miniere e sopprimere i lavori più barbari, in quanto basterà rivivificare il ferro già estratto [8]. Non è forse la materia, per definizione, eterna, dal momento che la forma cambia solo per l'applicazione del vivente lavoro per "crearla" o conservarla [9]? Similmente le città saranno eliminate e le campagne trasformate, poiché le abitazioni da individuali o private (appartenenti cioè a persone, aziende, gruppi, associazioni o classi) diverranno collettive.
I cambiamenti saranno ovviamente graduali e richiederanno secoli, ma possono venire accelerati dalle gigantesche guerre – distruttive della gravosa eredità borghese – che il capitalismo condurrà e contro la propria sovrapproduzione e contro il socialismo durante la fase di transizione.
Possiamo così affermare che nel secolo scorso, il trapasso, per cui l'Europa occidentale era già abbastanza matura, avrebbe incommensurabilmente comportato meno distruzioni e perdite sia di vite umane (anch'esse in soprannumero) che di materie prime.
Con raffronto alle dilapidazioni delle società classiste – dallo schiavismo al capitalismo – il socialismo è essenzialmente un sistema di economia sulla base di una superiore produttività, per il che si rende possibile ridurre praticamente a zero le ore di lavoro nella produzione mercantile.
Insomma, il comunismo dovrà, per poter imporre economicamente i propri principi di risparmio e di più grande efficacia con effetto utile uguale o superiore, eliminare le false spese e distruggere la sovraproduzione e le leggi che presiedono alla produzione borghese. Come infatti dimostra la società dei consumi e del benessere, che produce articoli di utilità e durata sempre decrescenti, l'economia borghese è dalle sue stesse leggi costretta ad accelerare freneticamente velocità e massa della produzione, ad ammortizzare il capitale per ... farlo rendere al massimo.
Se si volessero dedurre le leggi di funzionamento della produzione socialista per opposizione al capitalismo, bisognerebbe immediatamente disperdere la falsa concezione che la massa dei prodotti (specie della produzione industriale) debba ulteriormente aumentare col pretesto che si tratta di un modo di produzione superiore, dimenticando che tale massa è indice essenzialmente di sovrapproduzione, e quindi di sfruttamento, di ricchezza ad un polo e miseria all'altro polo, e perciò di crisi e lenitive (per il capitale) guerre di distruzione. L'indice scientifico di comparazione è il saggio, ossia un rapporto.
Ciò è d'altronde sentito dagli stessi borghesi, spinti a dover continuamente aumentare la massa della produzione sotto il pungono fatale della discesa del saggio di profitto, ossia di un rapporto di produzione (causa) qualitativo e dinamico, e non statico come la fredda registrazione del prodotto (effetto) quantitativo della massa [10].
È falso al mille per cento definire il socialismo come un sistema che accumula di più e meglio del capitalismo, e con indici di crescita ancora superiori, in quanto lo si riduce per tal modo a mero prolungamento del capitalismo, o meglio a un capitalismo sviluppato ipergonfiato dalla sua demenziale sovraproduzione. Ma il socialismo è tutt'altra cosa: ed è, come al solito, il capitalismo a fornircene la definizione per opposizione, in quanto il comunismo è l'antitesi generata dal contraddittorio modo di produzioni capitalistico.
Se quest'ultimo è, giusta Marx, il modo più economico per trasformare o realizzare il lavoro in merci, siano esse derrate, macchine o installazioni fisse, è pure nello stesso tempo – e in ciò la sua contraddizione più stridente che il comunismo sopprimerà – il modo di produzione più dilapidatore di lavoro vivo, sangue, carne, muscoli, nervi e cervello [11].
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Il lavoro di André Leroi-Gourhan
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Il segreto del comunismo sta in questo, che esso spezza il dominio di classe dei mezzi di produzione sull'uomo attraverso un duplice movimento: da una parte economizzando le proprie forze, dall'altra sviluppandole onnilateralmente. E Marx, per caratterizzare questa trasformazione rivoluzionaria che capovolge tutti i valori, trova una formulazione di straordinaria densità dialettica; "in realtà, solo il totale esaurimento dello sviluppo individuale assicura l'universale sviluppo ulteriore dell'uomo sociale, che, in questi periodi della storia, prelude alla nascita socialista dell'umanità".
In altri termini, l'umanità dopo il lungo periodo di disumanizzazione e di robotizzazione degli individui ad opera del capitale, deve passare attraverso il livellamento egualitario evocato dal programma di Gotha a proposito degli scontrini di lavoro, del diritto uguale per tutti, ultima forma borghese di rapporti tra uomini, per forgiare un modello di sviluppo volto non alla produzione per la produzione, ma alla produzione dell'uomo e delle sue capacità e potenzialità universali.
Consideriamo ora questo processo sociale, confrontandolo all'effetto ultimo a cui tende ogni vera rivoluzione sul piano economico: far avanzare d'un balzo la produttività umana.
Ciò che nel socialismo aumenta è non la massa, ma l'efficacia del modo di produzione, la produttività, ossia un minor logorio e dispendio di forze umane e di prodotti della natura per un risultato migliore o superiore. Questo effetto si ottiene migliorando il rapporto: minore sforzo umano per una più grande produzione, ossia miglior rendimento di più sviluppate capacità intellettuali e pratiche, e accresciuta intensità di vita. Non bisogna quindi confondere la massa lorda prodotta col rapporto tra quantità sociale ottenuta e sforzo sociale applicato, né – che è poi lo stesso – l'accresciuta massa della produzione annuale che dipende dall'investimento (cioè in ultima analisi dal saggio di profitto) col rapporto qualitativo di rendimento delle forze produttive la cui unità di misura marxista è unica: il tempo.
Il mezzo discriminatorio del tempo
Il tempo è un criterio insieme quantitativo e qualitativo che può essere oggetto di scienza esatta. Esso diviene per l'uomo sempre più ricco e più denso. Questa densità, oltre che denominatore comune a capitalismo e comunismo, laddove il primo è la base economica del secondo, costituisce anche la loro differenza specifica. Il tempo ha infatti nei due casi un contenuto opposto: reificato dal capitale, vivificato e umanizzato dal comunismo, in quanto il primo succhia dal tempo vivo operaio tutta la forza e la potenza delle macchine per produrre derrate aggettivate morte, mentre il secondo mette a disposizione dell'uomo attivo o produttore tutta la scienza, l'esperienza e l'abilità accumulate dalle passate generazioni.
La società comunista sviluppa la forza produttiva e creatrice dell'uomo, il quale si appropria tutte le conquiste rendendole viventi in sé. È un processo di palingenesi, di fecondazione dell'intera Natura ad opera dell'uomo, la famosa "umanizzazione della natura", di cui Marx parla nei Manoscritti del 1844. Due movimenti storici – coincidenti alla fine nella pratica e che noi distinguiamo solo per un ragionamento logico – permettono di giungere a questo grandioso risultato: in un primo atto di disciplinazione l'uomo si appropria — con coerenza, rigore, sistema e fedeltà — l'esperienza di tutte le generazioni passate, la memoria collettiva, apprendendola non nelle scuole, ma nel secondo atto di creazione nel seno del grande laboratorio o libro (per parlare il linguaggio degli sciocchi pedagoghi odierni [12]) aperto delle forze viventi della produzione e della società, atto che è ad un tempo consumo e godimento infinitamente diversificato, elevato, "nobile", complesso, profondo e ampio, in una parola universale.
Appare qui in luce chiarissima la differenza tra capitalismo, che è produzione per la produzione (ossia aumento delle ricchezze e della proprietà privata senza considerazione per l'uomo, il che significa che la stragrande maggioranza della sempre più numerosa umanità è pauperizzata a ritmo crescente) e comunismo, che è produzione per il pieno sviluppo dell'uomo o meglio di tutti gli uomini, dell'intera collettività umana, in cui la vita, l'esistenza e il movimento in tutte le direzioni hanno sostituito l'avere, ossia la moltiplicazione di oggetti di sempre minor valore. L'aumento della produttività del lavoro impone la prospettiva del più compiuto sviluppo umano in uno società che non sarà alienata ed esteriore all'uomo, oggettivata nelle cose, ma svilupperà la vita umana, o meglio la specie in continua crescita.
Il socialismo non è dunque il sistema dell'industria pesante di base alla Stalin, né quello dell'industria leggera di punta nella versione dei suoi emulatori occidentali. Questa deformata visione non è altro che la visioni borghese e romantico-utopistica nata agli albori del capitalismo, in un'epoca, cioè, in cui si trattava di allestire la base economica del socialismo. Essa aderiva infatti all'ideologia di edificatori e di operatori economici, di promotori e di progettatori di piani che non si sporcano mai le mani. La Tecnica (o capitale morto) è l'esempio più macroscopico di questa vera e propria degenerazione delle capacità produttive del Capitale, che separa l'Idea (resa venale) dal lavoro materiale dell'operaio (ignorante e passivo), così come dall'ancor più ignorante e passivo consumatore, donde lo sciupio inaudito e il completo abbrutimento della massa dei consumatori. La "scienza" genera così l'oscurantismo col feticismo per gli oggetti (di proprietà) e la robotizzazione delle attività umane subordinate e debilitate. Marx-Engels diedero una memorabile strigliata a uno di questi Grandi Architetti, il socialista piccolo-borghese sentimentale Kriege, che a New York si dilettava a creare sistemi per illuminare le masse ignare sul socialismo: "È vile e ipocrita presentare il comunismo come un "compimento" o una , "realizzazione", e non come la distruzione delle miserabili condizioni esistenti e delle illusioni che se ne fanno i borghesi" [13]. A voi, moderni riformisti che considerate il socialismo come il prolungamento graduale del capitalismo!
Se il comunismo continuerà ad accrescere le forze produttive, non sarà per aumentare ancora la produzione, bensì per diminuire sempre più l'orario di lavoro e il tormento ad esso legato. La prima verità del comunismo (frontalmente opposto alla prassi criminale del capitale nella sua suprema fase di delirio) è che esso non accelererà la pazza corsa a produrre, spezzata e frenata già dalla vittoria della rivoluzione socialista.
Non solo il capitalismo ha da tempo costruito quanto a noi basta ed avanza come base "tecnica" per il socialismo, ossia come dotazione di forze produttive, sicché il grande problema storico non è – nell'area BIANCA – di crescere il potenziale lavorativo, ma di spazzare via le FORME SOCIALI di ingombro alla buona distribuzione ed organizzazione nel mondo delle forze ed energie utili, vietandone lo sfruttamento e il dilapidamento. Ma lo stesso capitalismo HA TROPPO COSTRUITO e vive nell'antitesi storica: distruggere o saltare sotto la pressione della sua pletora. Lo stesso capitalismo, che con l'introduzione delle macchine ha sviluppato i mezzi materiali per diminuire drasticamente le ore di lavoro, è incapace di farlo per gli operai produttivi: esso crea il tempo libero solo per la classe dei borghesi e per le loro innumeri appendici, le classi medie, che sterilizzano i progressi dovuti al LAVORO [14].
La rabbia di produrre diviene delirium tremens nell'età senile del capitale e prosegue in piena crisi di sovrapproduzione, giacché la produzione borghese è legata al plusvalore, confermando appieno la scienza economica del marxismo che ha sottolineato come la terra sia progressivamente rovinata e devastata dalla applicazione demenziale delle macchine e di procedimenti tecnici di un'efficacia diabolica, ancora stimolata dalla sete di denaro che l'inflazione e l'accumulazione degli zeri rendono oggi più derisoria che mai.
La produzione per la produzione è infatti inerente alle leggi dell'economia capitalistica (discesa del saggio di profitto, concorrenza, necessità di accrescere ad ogni costo la parte relativa del sopralavoro, ecc.) e provoca sovrapproduzione e crisi, guerre e genocidi criminali, rovine e devastazioni in tutto il pianeta al solo scopo di riassorbire le eccedenze. Ma ciò non impedirà al capitalismo, che soddisfa l'eccesso produttivo coll'affamamento della stragrande maggioranza dell'umanità e colla rapina di risorse e materie prime per le insaziabili fauci del Moloch, di sfuggire al crollo totale.
La legislazione sul lavoro volge alla società comunista, e l'anticipa, anche se in forma ancora alienata (il comunismo ignora le forme irrigidite e reificate del diritto), con un'azione vivente, in divenire, che spinge cioè al suo sviluppo ed allargamento futuri, a nuove conquiste e non – come propongono i riformisti – a difesa di quelle del passato, nella mentita affermazione che la società borghese assicuri gradualmente un progresso crescente, laddove essa in realtà non fa altro che fagocitare man mono le conquiste operaie. Così, ad esempio, grazie all'aumento della produttività e dell'intensità del ritmo degli sforzi, il capitale trasforma le otto ore in una giornata più densa, più feconde e quindi più lunga di prima.
L'azione sindacale, che verte essenzialmente su rivendicazioni economiche, riflette al massimo grado il carattere effimero di queste misure, il cui interesse collettivo e storico – la continuità e la sistematizzazione – è politico, ossia dipende da un 'azione di classe che soltanto il partito può organicamente impostare.
La legge sulla riduzione del tempo di lavoro anticipa – non più idealmente, ma materialmente ed economicamente – i rapporti della nostra forma sociale per cui sarà la comunità dei produttori, sulla base di un progetto o di un piano collettivo, a determinare il processo di produzione, Nella sua azione presente, locale e parziale, questa legge utilizza fin d'ora gli stessi metodi comunisti della società collettivista, in quanto separa il tempo in cui il proletariato è impegnato nella produzione da quello in cui è libero di organizzarsi in vista della conquista dei prodotti del lavoro, quei prodotti che vengono oggi usurpati dagli oziosi (che non lavorano nella produzione immediata) e hanno in mano l'amministrazione, lo Stato, la scienza, l'arte, ecc. di cui i produttori stessi devono appropriarsi per potersi sviluppare. Questo tempo libero, così regolato, non ha niente a che vedere con le illusioni delle vacanze per tutti, questo vuoto del vuoto dell'inattività passiva: è una lotta per migliori condizioni di lavoro e di vita finché durano le società di classe.
In un passato meno fetido del presente, si scaglionavano le "vacanze" estive in un periodo di tre mesi, non per far crepare di noia i bambini accanto ai genitori sdraiati sulle monotone spiagge, ma per far loro cambiare di attività nel momento dei raccolti mobilitanti molte braccia.
La diminuizione delle ore di lavoro è il mistero svelato della superiore forma di produzione, la sintesi, in una formula, del programma di transizione al comunismo teorizzato da Marx-Engels che costituisce già ora il movimento reale della società comunista. Il programma comunista del partito di classe difende fin dall'inizio la situazione futura di un minor tempo di lavoro, alfine di servire utilmente la vita. Il Partito lavora a questo risultato dell'avvenire facendo leva su tutti i mezzi politici ed economici esistenti nella società capitalistica.
Questa conquista, apparentemente espressa in termini modesti da "ore" e ridotta ad un computo materiale, rappresenta in realtà una gigantesca vittoria – la più alta possibile – sulla necessità che spinge noi tutti e ci rende schiavi. Anche allorché il capitalismo e le classi saranno state soppresse, la specie umana sarà ancora sottomessa alla necessità imposta dalle forze naturali, e la libertà – assoluto filosofico – resterà un vaniloquio.
Definiremo dunque capitalismo e comunismo in tal modo: il primo ha per scopo l'arricchimento e la massima produzione, mentre il secondo, al contrario, la diminuzione dello sforzo di lavoro e l'aumento del tempo libero. È arcifalsa la pretesa che anche il capitalismo abbia contribuito a questo risultato che è caratteristico del comunismo e di esso soltanto. Al contrario, il capitale non ha fatto che aumentare il tormento dell'operaio, con le macchine che allungano gli orari spingendo al lavoro notturno. Si citano con orrore le giornate di lavoro di 16 ore, e si vanta con compiacenza la "recente" conquista delle 8 ore (imposta da generazioni di operai dopo decenni di lotte ardenti contro i borghesi, che a distanza di un secolo non rinunciano ancora a rimetterla in discussione ovunque nel mondo). L'ideale a cui tende il capitale è la giornata di 15-16 ore che esisteva non prima, bensì all'inizio del capitalismo. Anziché diminuire il tormento del lavoro, esso aumenta la disoccupazione e la miseria. Come ha constatato Marx, le macchine hanno introdotto e generalizzato il lavoro notturno e tratto in un'ora cinquanta e più ore dalla carcassa umana. Il capitale accaparra il tempo libero, prodotto dal lavoro più efficace degli operai produttivi, per aumentare il tempo libero dei suoi lacchè, i quali non partecipano alla produzione ma consumano il prodotto delle industrie improduttive, di lusso, ecc., che mascherano la sovrapproduzione: proprio queste classi oziose e parassitane sono in continuo aumento e sono loro ad annullare per l'operaio produttivo i vantaggi della sua accresciuta produttività [15].
Il brillante risultato a cui il capitale perviene si può quindi così riassumere: da una parte esso accresce sempre più la fatica e il tempo di lavoro degli operai produttivi, mentre dall'altra il loro prodotto (tempo libero compreso) viene consegnato alle classi oziose.
Proprio queste classi che mangiano il prodotto operaio (e realizzano il capitale consumando) sono, nella teoria capitalista, le classi necessarie, in quanto formano la domanda o possiedono i redditi per assorbire la crescente sovrapproduzione. Soprannumerari sono gli operai, che quando sono troppo produttivi sono buttati sul lastrico, coll'effetto di aumentare ancora il ritmo e il tormento del lavoro di quanti continuano a produrre. Il capitale è persino impotente a spartire il lavoro fra questi operai e i disoccupati, tanto è inestinguibile la sua sete di sopralavoro [16].
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[1] . Le misure di transizione sono una contraddizione in termini, e gli avversari o i falsi amici del marxismo hanno buon gioco nel metterne in rilievo incoerenze e incongruenze dal punto di vista della loro logica formale – il che prova semplicemente che la critica delle armi è indispensabile di fronte alla cattiva fede di chi pretende ricondurre il movimento dialettico della vita a uno schema dove tutto si regge logicamente senza mai contraddirsi. Così, ad esempio, la dittatura del proletariato è una misura che deve sfociare nella propria totale negazione (meglio ancora: abolizione), poiché ha un senso solo in quanto tende a trasformare il proletario in libero produttore associato e quindi in uomo sociale. Lo stesso vale per la democrazia: è facile opporla logicamente alla dittatura, che essa peraltro implica in quanto significa autorità dittatoriale del popolo. Ma sarebbe imbrogliare ancora la questione, poiché in Marx la conquista della democrazia è sinonimo dell'instaurazione della dittatura del proletariato, il cui fine ultimo è l'abolizione della democrazia, dal momento che questa presuppone sempre un conflitto di classe, l'oppressione della "minoranza" da parte di una maggioranza, dunque la macchina dello Stato e le sovrastrutture politiche di costrizione. Nel marxismo, le nozioni contraddittorie di Stato, democrazia, dittatura, ecc., sono ricondotte al loro contenuto materiale di mezzi utili per uno scopo ben preciso che le supera totalmente per alla fine eliminarle.
[2] . Cf. Engels a C. Schmidt, 1.7.1891.
[3] . Cf. Marx, Il Capitale III, cap. 27 su La funzione del credito nella produzioni capitalistica.
L'analisi della natura delle sovrastrutture ha mostrato a Marx che esse sono effettivvamente potenze economiche suscettibili di modificare il corso dell'economia. Nello stesso capitolo, egli sottolinea che gli interventi del credito, ad esempio, dipendono non dalla base economica, ma proprio dalla sovrastruttura; in altre parole, lo stesso credito è una misura, un intervento dispotico, ma, nelle condizioni attuali, borghese: "Il capitale che si possiede realmente o solo nell'opinione del pubblico, non è più che la base della sovrastruttura creditizia". Ciò che cambia, insomma, allorché il proletariato, in un ancora relativamente arretrato, utilizza il credito al posto della borghesia, è che questa misura tende non a conservare il capitalismo, ma a superarlo. Qui tutta la differenza: ma è fondamentale.
Nella sua polemica con Bucharin all'VIII congresso del Partito bolscevico del 18-23 marzo 1919, Lenin ricordava: "Se Marx diceva della manifattura che essa è una sovrastruttura della piccola produzione di massa, l'imperialismo e il capitalismo finanziario sono una sovrastruttura del vecchio capitalismo" (Opere 29, Roma 1967, (p. 150).
La manifattura, come l'imperialismo e la finanza, sono infatti un modo di organizzazione della produzione e della distribuzione del capitale. E Marx fa una distinzioni fondamentale tra dominazione formale del capitale sul lavoro (allorché allo stadio della manifattura la produzione quale è praticata alla fine del feudalesimo è sottomessa alla dittatura del capitale, poiché gli operai sono raggruppati in una manifattura e lo Stato stesso è il promotore di molte imprese di tal genere, cf. Colbert: l'intervento borghese è allora rivoluzionario) e dominazione reale, in cui i mezzi e le forze di produzione sono diventati adeguati al capitale (divisione del lavoro molto spinta e macchinismo), la finanza e l'imperialismo sono allora un modo di organizzare e di distribuire il capitale, il quale resta lo stesso nella sua "struttura", ma genera una sovrastruttura sociale. Cf. per la definizione dell'imperialismo, il capitolo La droga dell'imperialismo nel nostro testo: La crisi storica del capitale drogato, p. 79-82.
[4] . Lenin, La settima conferenza panrussa del POSDR, in Opere, cit., vol. 24, p. 240.
[5] . Cf. Rivendicazioni del Partito comunista in Germania, volantino scritto da Marx ed Engels, stampato a Parigi verso il 30 marzo 1848 e diffuso in settembre.
[6] . Il compito economico dei paesi arretrati in cui il proletariato è al potere sembra, a prima vista, impossibile, poiché il partito vi sviluppa man mano il capitalismo di Stato, che rafforza la potenza borghese nell'economia ed esercita una pressione sempre più forte sullo Stato proletario. Il compito è certo difficile, ma, d'altra parte, si sa che il capitalismo a misura che avanza genera anche gli elementi della società comunista, nel senso che elimina i borghesi industriali e finanziari, i proprietari fondiari e i piccoli borghesi (che vengono proletarizzati), ingrossando continuamente i ranghi del proletariato rivoluzionario al potere; insomma, il capitale è contemporaneamente processo di valorizzazione e di svalorizzazione, ossia dinamica di abolizione progressiva del valore. Tuttavia, nonostante queste difficoltà, nel processo della rivoluzione mondiale un paese arretrato può resistere anni, se non decenni, sulla base di un'economia antagonistica, perché dittatura del proletariato significa precisamente iato fra Stato e condizioni economiche non socialiste.
È in questo senso che si può scrivere: "I marxisti sono stati sempre per l'attacco rivoluzionario anche in un solo paese, quanto a strategia politica, a lotta per la presa del potere. Quanto alla trasformazione della struttura sociale in socialismo, che con espressione teoricamente non meno falsa delle altre si chiama costruzione del socialismo, e si dovrebbe chiamare distruzione del capitalismo [in due fasi, l'una del suo processo di valorizzazione e di svalorizzazione, l'altra di distruzione diretta], essa è sempre stata considerata proponibile e possibile anche in un solo paese. Ma sotto due condizioni, di cristallina evidenza da Marx a Lenin. Primo: che il capitalismo in quel paese esista pienamente; secondo: che il proletariato vincitore di quel paese sappia applicare la consegna: non sono venuto a portare la pace, ma la guerra!", ossia che resti saldamente legato all'Internazionale e alla lotta rivoluzionaria del proletariato del resto del mondo. Cf. Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, Ed. Il Programma Comunista, 1976, p. 85-86, La inventata teoria.
[7] . "Certo, il diritto borghese, per quel che concerne la distribuzione dei beni di consumo, presuppone necessariamente uno Stato borghese, poiché il diritto è nulla senza un apparato capace di costringere all'osservanza delle sue norme.
Ne consegue che in regime comunista sussistono, per un certo tempo, non solo il diritto borghese, ma anche lo Stato borghese, senza borghesia!" (cf. Stato e rivoluzione, in Opere 25, Roma, 1970, p. 442, cap. V, 4, La fase superiore della società comunista).
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[8] . Se l'animus borghese dell'impresa è la costruzione che edifica e fonda, ossia oggettiva e reifica, il socialismo attivo vivifica e crea. In altri termini, mantiene in vita e aggiunge, stabilendo un rapporto attivo fra ieri, oggi e domani.
A proposito della folle sovrapproduzione di acciaio della Germania del 1881 – 700.000 tonnellate d'acciaio contro i ... 53 milioni attuali (? !? ! ? !), cf. Marx-Engels, La Social-démocratie, Ed. 10/18, Parigi 1975, p. 155 e nota n. 113, p. 372/73. Certo, come diceva Engels, lasciamo alle generazioni future (che saranno meno bestie dell'attuale) la cura di determinare ciò che metteranno nella pentola, ma il marxismo indica chiaramente, in opposizione alla folle produzione per la produzione capitalistica, che non si tratterà di acciaio. Tali indicazioni danno una visione più chiara delle differenze specifiche del socialismo!
[9] . Come osserva Marx, nelle fucine del vulcano della produzione capitalistica, il proletariato operaio anticipa già nel suo lavoro la società comunista: "Nel processo di produzione, il lavoro vivo fa dello strumento e della materia il corpo della sua anima risuscitandoli così dalla morte" – e il capitale ammortizza in seguito questo prodotto effimero sul mercato.
"La materia di lavoro si conserva in una forma determinata essendo trasformata e sottomessa alle finalità del lavoro. Il lavoro è un fuoco vivente che forgia la materia. È ciò che vi è di perituro e di temporale in essa: è la lavorazione dell'oggetto ad opera del tempo vivente". (Grundrisse, cit. p. 325, 320). Si potrà obiettare che il lavoro dell'artigiano ha la stessa qualità. È vero, ma è individuale e legato al destino personale, mentre il lavoro cooperativo, sociale, dell'operaio si effettua alla scala mondiale e dell'intera natura, e può dunque collegare (e vivificare) il lavoro di tutte le passate generazioni in un modo di produzione senza antagonismi fra gli uomini di ieri, di oggi e di domani. In questo senso, il comunismo teorizzato da Marx-Engels, portavoce del proletariato mondiale, non può che essere il prodotto della classe operaia moderna, sorta sulla base del modo di produzione capitalistico.
[10] . La caduta del saggio di profitto dimostra appunto che il capitale vede diminuire il suo saggio di redditività sociale medio, dunque i suoi indici di crescita. Ciò testimonia che esso è sempre meno in grado di accrescere l'efficacia del lavoro umano, che non è il suo scopo ma è subordinato al suo rendimento: l'aumento delle forze produttive non è neanche il suo ideale supremo. In periodo di crisi, il capitale si blocca, non per l'incapacità della produzione a crescere, ma perché la sua redditività (o saggio di profitto) è caduta a zero, determinando anche il crollo della sua massa.
Insomma, la massa crescente della produzione maschera proprio la caduta tendenziale del saggio di profitto, dunque del rendimento del capitale: siamo nella crisi generale se massa e saggio cadono entrambi. In periodo di crescita o di accumulazione allargata del capitalismo, la massa della produzione evolve in rapporto inverso al suo tasso di crescita: la prima aumenta, mentre il secondo diminuisce e, con esso, l'altro rapporto: l'efficacia del lavoro in rapporto alla massa prodotta. Il capitalismo supera questa contraddizione gettando sempre nuovi paesi nel circuito della produzione borghese, il che frena la caduta del saggio medio sociale di profitto, permettendo un aumento della produttività – dunque per il capitale un aumento del plusvalore – in rapporto alle condizioni anteriori. Ma questo movimento volge ormai al termine: il capitale ha fatto il giro del mondo industrializzato altrettanto – e anche di più, vedi l'inflazione – di quanto non gli permetta il suo modo di produzione ineguale – ed ecco la crisi generale che spinge alla guerra di distruzione o alla rivoluzione, o a tutte e due contemporaneamente.
[11] . Cf. Marx, Manoscritti inediti a "Zur Kritik der politschen Okonomie".
[12] . Rimandiamo il lettore agli scritti di Marx-Engels sul processo di nascita dell'uomo nuovo del comunismo superiore nella produzione e nella società – e non più nelle scuole e nelle istupidenti università borghesi – mediante la combinazione del lavoro manuale col lavoro (e non insegnamento) intellettuale, scritti riportati nella sezione II sulla genesi dell'"educazione" comunista, p. 133-260 della raccolta: Marx-Engels, Critique de l'éducation et de l'enseignement, Ed. Maspéro, Parigi 1976.
[13] . Cf. Marx-Engels, Circolare contro Kriege, in Opere VI, Roma 1973, p. 42.
[14] Cf. Marx-Engels, Critique de Malthus, Ed. Maspéro, Parigi 1978, per tutta la problematica degli oziosi che prevalgono sugli attivi, gli intellettuali sui manuali, i maschi sulle donne, i redditieri sui produttivi, i disoccupati su quanti nel mondo trovano lavoro.
[15] . Come dice il socialista "ricardiano" Ravenstone, citato frequentemente da Marx nei manoscritti inediti di Zur Kritik ecc. (cit, p. 277), la proprietà e il capitale non hanno in vista "che un affare: produrre la pigrizia", cioè il tempo libero morto, così come il capitale stesso è morto ed è ammortamento di tutto ciò che tocca. In questo senso, ancora, è a partire dalla società comunista che si afferra appieno la natura del capitale, il quale "non esiste" o – in altri termini equivalenti – uccide il lavoro vivo man mano che lo assorbe.
[16] . Il numero di americani che lavorano 55 ore alla settimana è passato dal 20,5% nel 1950 al 26,9% nel 1970. Durante lo stesso periodo, il numero dei disoccupati è passato dal 5% al 10% circa, Se si tiene conto del tempo speso per recarsi sul posto di lavoro, del lavoro vero e proprio e dei lavori più o meno domestici, essi lavorano in media 10 oro e mezza al giorno; grazie alla recessione, molti americani hanno un secondo "job" o fanno ore straordinarie. Anche se, sul piano dell'orario di lavoro, si è registrato un leggero miglioramento, questo è cancellato dal fatto che il numero delle donne sposate che lavorano è raddoppiato in 20 anni, e "IL NUMERO DI ORE DI LAVORO FORNITE DA UNA COPPIA AMERICANA OGNI SETTIMANA È PIÙ' ELEVATO CHE ALL'INDOMANI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE", cf. Witznitzer, Trop de temps libre?, in Le Monde del 1978.
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